Solo con un vero programma di Reshoring saremo veramente Green

Oltre un anno fa abbiamo scoperto improvvisamente e drammaticamente come la dipendenza in Europa dal gas russo fosse un enorme rischio strategico, e anche se da tempo si stava lavorando per produrre energia in maniera indipendente da componenti fossili, il processo era appena iniziato. La guerra e le tensioni del mondo post pandemia hanno accelerato questo processo e la quota di energia da fonti rinnovabili quali eolico, geotermico e fotovoltaico sta vertiginosamente aumentando. Gli accordi internazionali di riduzione del Carbon Footprint stanno ulteriormente spingendo l’uso di queste fonti e i loro effetti positivi, seppure a medio lungo termine, risultano decisivi per l’equilibrio e la sostenibilità ambientale.

Nelle considerazioni e nell’idea generale che si ha a proposito delle energie rinnovabili, ma il discorso vale per tutto l’approccio “verde”, ci si dimentica spesso che qualsiasi cosa, anche se elettrica, debba prima essere costruita, e così gli impianti fotovoltaici o eolici, prima di poter produrre energia devono essere prodotti e la loro produzione viene effettuata ancora con quote di energia non rinnovabile. Ancora meno considerato nel pensiero comune è l’impronta dovuta alla catena di approvvigionamento e al trasporto, spesso il vero tallone d’Achille nel bilancio ambientale di un prodotto.

Consideriamo la produzione di pannelli fotovoltaici: la logistica delle materie prime è un fattore critico per il successo della produzione; silicio, rame, alluminio, cobalto, nichel sono componenti fondamentali alla sua costruzione. L’estrazione di tutti questi materiali può avere un bilancio estremamente negativo in termini di emissione di CO2 e di inquinanti usati per la sua raffinazione. La qualità del silicio è critica per garantire l’efficienza dei pannelli solari, e la produzione di barre di silicio ha un impatto ambientale negativo se non viene gestita in modo adeguato: viene infatti richiesta un’enorme quantità di energia, che in gran parte viene generata da combustibili fossili, e produce rifiuti pericolosi come polveri di silicio e soluzioni acide, il cui smaltimento necessita di una grande quantità di acqua.

Pur se le principali fonti di sabbia silicea, sono presenti in molte parti del mondo, dalla Norvegia alla Svezia, fino agli Stati Uniti e Canada, la produzione del lingotto, che darà poi forma al pannello di silicio è oggi quasi esclusivamente concentrata in Cina, leader del mercato con una quota vicina al 80%. Il pannello è per il 70% composto da vetro, quasi esclusivamente di provenienza dal Sud Est Asiatico, Vietnam o Malaysia, e molti dei macchinari per l’assemblaggio dei pannelli fotovoltaici hanno provenienza cinese o nel Sud Est Asiatico. Nonostante il grande sforzo che anche questi paesi stanno compiendo nella loro transizione energetica, il loro è ancora un mix energetico ampiamente di origine fossile, e il bilancio negativo si aggrava considerando la catena logistica fino alle loro destinazioni finali europee o Americane.

Se consideriamo ad esempio il periodo dal 2010 al 2015, il massiccio spostamento di buona parte della produzione di componenti per il fotovoltaico verso l’Asia ha visto aumentare l’emissione di gas serra e il consumo energetico del 10%.

Venendo agli ultimi due anni, la ripresa dell’economia post-pandemia sta ancora determinando blocchi e ritardi nella logistica, così come la crescente tensione geo politica (dalla guerra in Ucraina alla situazione in Taiwan) e ciò rende difficile una efficace e consistente strategia di approvvigionamento che possa sostenere l’ambizioso target climatico e la crescente necessità di energia. 

È per questo che il raggiungimento della Carbon Neutrality, obiettivo dichiarato da Europa e Stati Uniti per il 2050, è strettamente condizionato allo sforzo di riduzione della lunghezza della catena di approvvigionamento e al parallelo progetto di riportare la produzione dei componenti in prossimità della loro destinazione finale, in Europa come negli Stati Uniti.

Gli effetti di un “Reshoring” completo sono calcolabili, evidenti e tangibili: in un articolo comparso su Nature.com a firma dei ricercatori Haoyue Liang & Fengqi You “Reshoring silicon photovoltaics manu- facturing contributes to decarbonization and climate change mitigation “ ( https://rdcu.be/dcgy3) si è stimato che ricostruire per intero la supply chain di panelli fotovoltaici in USA (dalla produzione di silicio fino all’assemblaggio del pannello) entro il 2035, comporterebbe una minore emissione di CO2 del 30% e una riduzione di consumi del 13% rispetto alla situazione del 2020 e un ulteriore beneficio del 30% è prevedibile se l’intera richiesta di pannelli prevista nel 2050 fosse completamente “Made in USA”.

È per questo che la risposta efficace alle aspettative sulla richiesta di energia rinnovabile (40% della richiesta di energia in USA nel 2035, e 70-80% nel 2050) in USA come in Europa può solo avvenire se si costruisce in parallelo una infrastruttura industriale che ricostruisca una supply chain locale e performante.

 Il governo statunitense attraverso l’Inflation Reduction Act (IRA) e in misura minore l’Europa con il Green Deal, hanno messo sul piano degli investimenti centinaia di miliardi per sostenere lo sforzo di re-industrializzazione. Pensando che buona parte della supply chain, anche a seguito della crisi del 2008, è stata terziarizzata in Asia, il progetto è lungo ed ambizioso, oltre che estremamente costoso. Ma è un passo fondamentale per la sostenibilità ambientale e per la riduzione del rischio strategico.

Soprattutto, è una opportunità reale per tutte le aziende che dispongono della tecnologia necessaria e che oggi trovano un terreno normativo, fiscale e finanziario estremamente favorevole, oltre che a una prospettiva di crescita del mercato in ampia e duratura espansione.

Parliamone. Let’s talk about it.